INGLESE, LINGUA SEMPLICE E ORDINATA
Nel suo ultimo libro Il coltellino svizzero (Garzanti, 2020), Annamaria Testa cita Tullio De Mauro in Capire le parole: “fin dai tempi di John Locke la cultura anglosassone, inglese e americana, si è impegnata in una battaglia per la limpidezza e la chiarezza dei testi come valore supremo dell’arte dello scrivere e del parlare.”
Ed è così: la lingua inglese, nelle sue varianti, non spreca parole, va dritta al punto. Fa economia di parole quando usa lo stesso termine come sostantivo e verbo. Va dritta al punto grazie alla sua struttura fissa degli elementi: soggetto verbo complemento – non si sfugge! E allora niente giri di parole. Niente soggetti nascosti (soggetto obbligatorio!) o da recuperare chissà dove dentro una frase.
La lingua inglese, nella sua struttura, mi comunica ordine. Non solo sintattico, ma mentale. In un certo senso, l’ho scelta, la lingua inglese, per i miei studi universitari, proprio per questa sensazione di equilibrio, armonia, strutturazione. Prendermi una laurea in lingua inglese è stata una scelta consapevole e chiara fin da subito – nonostante altre lingue più esotiche di moda a inizio anni 2000. Scrivere in inglese, negli anni dello studio, della formazione, della ricerca negli Stati Uniti, mi ha permesso di avvicinarmi a quella “semplicità” morfosintattica, lessicale, stilistica sia nell’atto dello scrivere che del ragionare. E spesso ora, quando scrivo, specie poesie, mi viene fatto notare che seguo uno stile paratattico, lineare, con frasi semplici, brevi, senza tante coordinate, tipico della lingua inglese – il che non può che farmi piacere.
PARLARE SEMPLICE E CHIARO IN PUBBLICO
Per anni, dopo i miei studi di dottorato a Padova e a Dallas, ho fatto la formatrice per l’Università Ca’ Foscari di Venezia e per la casa editrice Oxford University Press di Scandicci. Mi sono accorta di portare semplicità, chiarezza, linearità – i tratti della lingua inglese, approfondita negli anni di studio – anche durante i miei incontri di formazione. La fase di preparazione per me è fondamentale, ci dedico tempo, energie, impegno. Prima di parlare in pubblico, studio e mi preparo per trovare la forma più chiara e accessibile, con cui rivolgermi a quel pubblico. Per essere capita, compresa al meglio. Per rendere lo scambio comunicativo con le persone davanti a me, fluido, sereno, appagante – efficace. Seleziono con cura le parole a seconda di chi mi ascolterà. Faccio le prove ad alta voce del discorso che mi propongo di dire – consapevole della necessità di essere flessibile, una volta sul campo, dunque aperta a deviazioni e variazioni. Preparare il mio discorso, come una specie di canovaccio, mi serve non solo per sentirmi a mio agio una volta davanti a un pubblico intento ad ascoltarmi. Lo vivo come “un atto di cura comunicativa” verso chi mi ascolterà.
SEMPLICE, CHE FATICA!
Riuscire a parlare o scrivere con semplicità, potrebbe sembrare un processo semplice… ma in realtà, non lo è! Nel suo libro, Il coltellino svizzero, Annamaria Testa si chiede come mai la semplicità sembra così complicata da raggiungere. Ecco le sue motivazioni:
- essere semplici costa fatica. Per riuscire a scrivere con toni semplici, occorre padroneggiare un certo argomento, conoscere bene la lingua in cui si scrive, dedicare tempo, risorse e competenze al processo di scrittura. Insomma, un percorso che può richiedere concentrazione, dedizione, impegno, dunque, qualcosa che può costarci fatica;
- essere semplici può essere rischioso. Ossia: se un testo è chiaro e comprensibile, è accessibile alla massa, massa che può esprimere opinioni ed eventuali disaccordi, in massa, appunto! Vuoi mettere invece un testo involuto e complesso da capire? Tutti zitti!;
- essere semplici vuol dire prendersi una certa dose di responsabilità. Cioè: durante il processo di scrittura, seleziono con attenzione le informazioni e i concetti per me importanti da dire, e ne elimino altri. Definisco obiettivi chiari, funzionali, verificabili. Offro soluzioni efficaci, possibili strategie. Se mi arrivano domande, devo dare conto poi delle mie scelte, con motivazioni solide.
Ma c’è un però – in tutta questa fatica. Quando si sceglie di scrivere, per lavoro, con finalità pubblicitarie, si fa un servizio verso altre persone. Persone che, come noi, sono immerse in un mondo – digitale e non – ricco di stimoli e richieste, veloce e impegnativo. Un contenuto, un testo digitale scritto “semplice”, è una forma di resistenza alla complessità in cui è immersa la massa. Un servizio di cura verso chi ci leggerà. Con le parole di Annamaria Testa: “Eppure in tempi caotici, sovraccarichi di informazioni e scarsi di prospettive, essere semplici (occhio: “semplice” non vuol dire né sempliciotto né facilone) è, credo, un imperativo”.
Verusca Costenaro
Annamaria Testa, creativa e copywriter.